«Comandi, dottò, buongiorno».
«Buongiorno, Ciro, stai comodo. Và, facimm’c prima na tazzutella ‘e cafè e poi abbiamm a jurnata».
Ciro veniva da Napoli, come lui.
Anzi l’aveva trovato ad accoglierlo tre anni prima, alla Stazione Centrale di Agrigento, in Piazza Mercato con la macchina di servizio. Si trovava lì già da due anni. Era cinque sei anni più grande di lui.
Ciro in Sicilia aveva messo radici. Appena arrivato aveva conosciuto una bella ragazza del posto, di famiglia semplice e contadina. Si era innamorato e se l’era sposata.
Rosalia Spinò era bella, sana, tranquilla. Non aveva grandi sogni, grandi velleità o grilli per la testa. Ma aveva puntato subito gli occhi sul nuovo arrivato dal continente. Ciro ci scherzava su:
«Dottò, sapit’, è o’ fascino ra divisa» e così, come diceva lui stesso, era finito “dritto dritto in trappola”. Matrimonio e due bei gemelli.
«Dottò», raccontò Ciro al loro primo incontro, «ho fatto subito, int’a roje anni, aggio arricettat e fierr».
L’ispettore Costa, nel suo solitario viaggio di ritorno verso Napoli, mentre guardava il panorama in esplosione primaverile, con gli occhi della mente ricomponeva i ricordi.
.......... segue
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